la verità sta sul limite?

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Si cerca una ragazza per un uomo che certe notti di luna piena, ma non tutte non ogni pieno di luna, si trasforma in lupo. Si fanno interviste che non danno risultati e non c’erano in effetti grandi speranze. Poi una acconsente, sospirando, alla sorte dell’uomo. Chiede “…è un uomo buono?” Il procacciatore è impaziente, ha il viso rassegnato di ruffiano triste ” Che vuole che ne sappia, non è questo…”. Lei si piega su questo ruffiano. Sorride -con la libertà della propria irrilevanza sociale- del cinismo che impedisce all’uomo di capire e spiega “..è perché so come sono fatta… poi mi affeziono”. (*)
Seneca(**): “Non esiste vento favorevole per una barca alla deriva”. Accidenti se non siamo esattamente questo: barche testarde alla deriva e cantiamo canzoni e recitiamo, recitiamo a teatro osservando ogni poco la chiglia non sufficiente. La nostra modesta profondità stesi sul mare. Il nostro peso è così modesto che ci vorrebbe almeno quello di una balena a tenerci. Barche e donne conoscono i propri cedimenti a imperfetti legami. Noi maschi abbiamo scelto l’intelletto.
La barca, la navigazione, promettono modesti riscontri alle pretese d’amore certo. Il pensiero ha una limitata capacità di validarsi da sé. Ipotizza, poi scivola un po’ di lato. Prende la forma di deriva. Di donna e di pietra rotolante. Il massimo della razionalità calcola l’errore, più della rotta, la deviazione più che la direzione. Il presente è la barca, la navigazione, le mani nell’acqua oltre il bordo. Il ventre delle api che si invischia di polline e si pulisce contro un’altro fiore.
Le rotte somigliano alle rivoluzioni planetarie, allo strepito delle Ferrari alla curva. Il risultato di un calcolo infinitesimale descrive l’attimo di un punto inafferrabile, che si muove continuamente: è l’io che corre su una figura discreta con gradi di libertà non limitati(***). La nostra posizione ha a che fare con le qualità del movimento. Ci guardammo e ci riconoscemmo. Così ti dissi se fossi d’accordo di trascorrere qualche minuto insieme, lungo il flusso di pensiero inarrestabile.
La conoscenza è una sottrazione di sè da una imponente deriva. Gli affetti hanno la natura delle turbolenze. E procedere accanto necessita di una direzione per il tempo. La direzione del tempo ha la natura del calore. La natura del calore è una misura della velocità di oscillazione degli atomi nella materia. La deriva è la natura del pensiero sensibile. Il calcolo infinitesimale tende al nostro io identitario. Il calore è la direzione di affezioni sghembe, in direzione di quelli che non hanno avuto fortuna.
Accadono cose che restano sempre e da allora siamo cambiati. Abbiamo addosso segni definitivi. Abbiamo espressioni quante sono le volte che siamo andati oltre uno di molti orizzonti. Abbiamo asimmetrie che ci storcono la bocca ma scompaiono -contrariamente al solito- quando sorridiamo. La salute ha un versante? o la salute è il cielo, o comunque la superficie percorribile d’un pianeta? Dove porta la fisiologia? Il bilancio energetico degli equilibri non sono certo che sia in pareggio.
Dicono che non si può capire quanto scrivo. In effetti, se non si scrivono punto per punto i capi del discorso, c’è spazio per un certo numero di versioni del discorso medesimo. Ci sono vaste aree inesplorate perché le propaggini dei principi primi non si estendono fin là. I capi del discorso, d’altra parte, stanno sempre anche in te, nella comprensione. Cerco sempre di stabilire dove si lega, dentro la mia mente, il capo del discorso che mandi verso di me mentre mi parli.
Note: (*) (cito liberamente da una sceneggiatura di F.Fellini per un film ad episodi negli anni cinquanta)
(**) (Seneca.. è Seneca!)
(***) (l’idea è di pensare una superficie topologica come la Bottiglia di Klein: occorre un elevato grado di regressione, cioè di immaginazione, per pensare un oggetto che, diversamente da un bicchiere, non ha bordi dove la superficie termina bruscamente e sulla cui superficie, diversamente da un pallone, una mosca possa andare dall’interno all’esterno senza attraversare la superficie e che quindi non abbia realmente un dentro e un fuori. Su quella superficie si può correre all’infinito per via delle sue strane proprietà. Ma il non finito è insieme una realtà discreta. Si capisce che ha a che fare con il nastro di Moebius… La domanda è: cosa succede nei punti in cui ci sono forzature formali grazie alle quali lo spazio assume qualità imprevedibili? Quale è la funzione del pensiero corrispondente? E’ quello il grado necessario di regressione, di immaginazione, per realizzare l’idea di quanto ancora non c’é? Allora l’invisibile è il non immaginabile…)
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