diario

“Nel momento più difficile della vita del capitano la tempesta perfetta schierava i cumulonembi. Il pilota del caccia da perlustrazione imbarcava scossoni come la baleniera scrosci di oceano. In cielo e in terra la natura riversava generosi fortunali. Io non mi impensierii troppo. Per quanto fossi il capitano e il pilota. Fuori di metafora.

Avevo protestato che dare la libertà era difficile ma poteva essere compreso come regalo. Che molti amori sono e sarebbero stati indispensabili e non sempre successivi. Che la visione era guardare il futuro come fosse l’indietro visto dal momento certo della mia estrema conclusione.

Era lo sguardo a posteriori su un progredire che diventava illusorio.

In questo ero stato sempre solo.

Poi un certo giorno lo scandalo si era ritirato. L’onda anomala refluita e la nave era precipitata giù nel ventre non più buio anche se azzurrissimo da brividi. Ma erano brividi estetici. Tutto dunque senza danni.

Recalcitranti non furono le solite sterili pedanterie ma ipotesi d’amori differenti. Esclusività marginali ma non più ininfluenti. Schiaffi di pioggia residua. La coda dell’uragano non fu coda dello scorpione. Protestò sferzante senza veleno. Ricordavo quando lei, alla fine dell’amore notturno mi chiedeva: “…ma tu mi amerai lo stesso?” O gridava: “….dimmi che non te ne vai.”

Non so altro. Qui le pagine del diario di bordo si interrompono.

Capitani di navi brune di salmastro e piloti di aerei intatti nell’aria d’argento mi agitano da allora la mente. Letteratura di viaggi quotidiani. Sospensioni.

Dove è che ognuno di noi comincia a vivere per davvero? In quale territorio: della morale della giustizia o della luce incerta? Perché la luce è sempre incerta e dunque, la luce, è materia di pensiero.