in costruzione

28 Ottobre 2010 Lascia il tuo commento

in costruzione

Henry (Emile Benoit) Matisse nasce a Cateau-Cambresis  nel 1869: il 31 di Dicembre. Realizza “La Gioia di Vivere” tra il 1905 e il 1906: ha 37 anni e, seppure il quadro susciti stupore e forse anche riprovazione, egli sosterrà, poi, che con quest’opera ha inizio la sua attività. Oggi, provare a riprodurre la “Gioia di vivere”, comporta che uno si chieda del coraggio dell’artista, non fosse altro per l’imponenza del titolo. Oppure, semplicemente, il titolo dell’opera non è imponente: imponente è la perdita che l’opera deve risarcire. Risarcimento di senso, attraverso una giostra di parole che andranno  pronunciate senza enfasi. Proviamo:
gioiadivivere
poi
giò-iàdi-vìve-rè
e poi
giooo-iàaaà-diiivìiive-rèèee

E’ il 1906, e il secolo fermenta alle coste d’Europa, nella parte alta del Mediterraneo dove la terra piega verso lo stretto di Gibilterra. Il rosso bruno, la sabbia delle fortezze d’Africa, si succhia tutto il colore dal tropico e lo spande ad oriente, e tinge Spagna e Francia e, in ogni caso, feconda le femmine di lassù.

Loro, accaldate, in vesti forse, talvolta, meno che disadorne, coi loro occhi attirano le attenzioni di maschi sensibili. Si accoppiano in amori, certi, ognuno di sé: ma disordinati, se presi in considerazione tutti insieme, ciascuno accanto ad ogni altro. Da quegli accoppiamenti deriva una prole in cui è evidente una selezione innaturale, una ingiustizia: la creatività e il coraggio della ricerca della bellezza sono stati tutti addensati in quelle regioni della terra, e spenti altrove.

E’ evidente che la nascita dell’arte nuova si fonda su una spartizione del mondo disuguale e ingiusta. Quell’area di mondo, assolata e colorata, è un campo esteso sulla tela di Matisse e di moltissimi artisti, di quasi tutti. Attratti tutti, e senza esclusioni,  dalla fecondità del ‘luogo’ pittorico. I maschi, probabilmente sensibili e distratti, le ragazze certamente nude, e spudorate.

Tutti che s’erano allontanati da casa per voci di possibilità, senza certezze, promesse tanto meno. Perchè la musa era alla sorgente del pensiero a sussurrare.  Nei prati disegnati, e dipinti, il focolare penso che fosse il vento colorato d’Africa. L’acqua non mancò quasi mai nelle stesse pitture.

Lì su una tela, una di quelle che si facevano alle rive del mediterraneo settentrionale e alle rive del secolo, è nato Henry Matisse. S’è guadagnato il sipario – da scostare per  il suo inizio – gli anni ‘prima’, con la ricerca tra le correnti dell’arte. L’arte che c’era, che s’era trovato. Poi l’ha mosso verso il fuori – quel sipario – con la propria potenza.

Ha svelato una scena complessa, disuguale, spensierata: senza zone oscure, nonostante il disordine. Il disordine, si legge nel cielo sopra l’orizzonte, è confusione apparente. Il quadro è interiorità pura, che non realizza una distribuzione prevedibile o sensata nello spazio perché – l’interiorità che è ancora il soggetto – non avendo natura di materia, non sa l’uso razionale di masse ripartite. Non ha la materia delle cose del mondo percepito e non può fare l’allegoria il simbolo e la metafora.

Solo la coscienza sa fare metafore simboli e allegorie: che legano il senso, che è pensiero, col volume, che è mondo. Solo la coscienza ci illude che quel legame sia una realtà inconfutabile: ma è una nuvola mal disegnata: se quel legame fosse un modo della realtà ciò che lega il pensiero al mondo si porterebbe fuori il soggetto: che è la pazzia.

Gli artisti d’altra parte, a sentir loro, hanno sempre avuto tra i lenzuoli sogni indicibili: per esempio vocali, consonanti, lacrime, gocce, grida dolci e insensate, grida forti ma non moleste, impercettibili tracce ma non macchie. Povertà spesso. Mancanza assoluta di ironia sognano gli artisti. E un prendersi sul serio. Per quel loro prendersi sul serio, la povertà, negli artisti, non è disadorna, e l’indigenza non è mai miserevole. Quando ebbero il danaro per i colori povertà e indigenza divennero, anzi, misteriosamente, opere d’arte.

Dopo queste precisazioni diciamo che “La Gioia di Vivere”, rarefatta come  il pensiero, ha – dunque – natura di tempo e non suggerisce legami o riferimenti al mondo delle cose. L’interiorità  che propone è affetto originario, irresistibile del venire al mondo. E la natura ritratta è solo  natura  umana:  che è poesia prima di tutto e, dopo, tempo di luce e d’ombra.

La luce e l’ombra possono stare insieme sulla tela come stanno nello sfumato della luce obliqua appena la tela è esposta . Rivelazione di un capolavoro, l’opera, alla luce, dice il sogno: “… l’uomo ha l’alternanza,  per non morire…. ha l’amore per gli istanti felici… ha la asimmetria del pensiero per amare i suoi simili disuguali… ed ha la donna: per non disperarsi nella ricerca – impossibile e inutile – della gioia di vivere”

Per imparare a scrivere compongo la mia frase. Per imparare a scrivere ma anche  per consolare il pensiero, che guarda la riproduzione della “Gioa di Vivere” sulle pagine 43 e 44 del libro d’arte profumato di inchiostro colorato, che ho comprato ieri: “Il 31 dicembre del 1869, a Cateau Cambresis, Henry Matisse nasce! Nasce… uguale. Rinasce nel 1906, con “La Gioia di Vivere” perché nel tempo, per la sua natura, Henry Matisse, ha trovato qualcosa, che l’ha reso disuguale, altro, diverso: rinasce  più bello.”


Categoria:

via della resistenza
mancanza di garbo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.