il letto e la casa
” Quell’oceano di conoscenza anonima al di sotto della soglia dei brevetti e degli articoli scientifici che strutturava la pratica quotidiana ” (Peter Gallison- ” Gli orologi di Einstein, le mappe di Poincarè. Imperi del tempo ” Cortina editore – pag.188
L’oceano di conoscenze concrete non formalizzate, stabilisce mille modi di essere dentro la scienza, secondo il mondo proprio a ciascuno scienziato. Nato bambino, l’uomo di esperienza e sapere, è simile a tutti noi che, nascendo, iniziamo la veglia sulla terra.
Vegliamo luce e cielo, e subito alla nascita cresce il pensiero. Poi il sonno porta il pensiero al sogno. Poi il risveglio porta il sogno al pensiero. Il fondamento e la permanenza della realtà mentale umana sono assicurati da questa alternanza. L’arresto di essa è il freddo e la morte certa.
Essere al mondo inizia con la veglia del neonato verso la stanza dei parenti felici. La nascita è una veglia sulla terra, ma anche alla terra, agli altri e al cielo, alle nuvole, alle scritture e alle danze, ai suoni e alle parole, e ai terremoti. Alle sillabe brevi dei nomi di fratelli e sorelle. Attimi: poi dormire. L’addio al mondo esterno è già possibile.
Non si sa nulla del contenuto di figure dei primi attimi. Non si sa se pensare sia immediatamente l’organizzazione del pensiero vigile secondo precise forme. C’è subito un rapporto con il mondo. C’è, nell’addio già possibile, una evidenza che si sono scoperti: la casa al balcone del seno, e il letto nell’avambraccio che ci teneva diritta la schiena.
Solo il letto che ci sostiene, e la casa ricca di latte, si possono descrivere da fuori: altro non si riesce a vedere. Non possiamo essere certi che le mitologie della fondazione siano mimesi dell’origine dei deserti e delle oasi della progressiva mielinizzazione corticale. Sono racconti onirici e confusi. Non sono, probabilmente, né nascita né infanzia.
Si sa bene la preistoria, il vegliare il sonno nelle caverne e sotto le tende dei cacciatori e dei pastori. L’uomo e la donna, come adesso, triangoli in equilibrio sul vertice acuminato di un gomito nel sorvegliare il respiro di tutti. Anche se adesso, quegli uomini e quelle donne sono reperti di ossa miste a monili nelle buche di scavi che gli archeologi decorano con soavi cartellini numerati.
Con mio figlio e mia figlia tra le braccia per farli addormentare, i primi anni, cantavo: ero un flauto, ricavato dalla tibia di un’aquila. Mio figlio e mia figlia erano reperti archeologici d’amore. Non ricordo cosa avessi nella mente, cantando: l’idea di generare il sonno e lasciarli liberi, penso.
Il timore, che l’amore non fosse sufficiente a tutto quanto era necessario, non era proprio coscienza. Si va su e giù per la stanza, mentre si canta ai bambini che teniamo tra le braccia. Si porta quel piccolo peso senza fatica. I nostri pensieri sono assorbiti dal volto seminascosto sul torace. Vegliavo con scarsa coscienza.
La coscienza, trasformata in amore, si riassume nel passeggiare e inventare parole. Da qualche parte restava la certezza della necessità di una ricerca scientifica che non neutralizzasse gli affetti. Una cometa, scivolando di cielo in cielo, indicava la necessità di studi interdisciplinari, per fare i nessi. “Altrimenti è impossibile“… era il pensiero cantato.
Per capire ho sfruttato, dunque, anche la dedizione verso chi amavo, e l’impotenza verso chi non riuscivo ad amare, e la conferma delle capacità (tutte le volte che mi pareva di essere stato capace). Comunque, sempre, quando sapevo che eravamo stati capaci insieme lei e io. Non si può fare diversamente. Si può capire, anzi, proprio criticando la nostra stessa vita affettiva, certe volte.
Questo è reso possibile perché gli esseri umani, tutti, hanno la socialità indistruttibile. Si è scoperto di poter dire con le parole: “siamo nati per vegliare coloro che ci hanno chiamato presso di loro”. Non c’entra il romanticismo. Si fanno figli per mille motivi: di fatto comunque si sa che il neonato è adatto a testimoniare.
La mente è la sezione ovale di tronco d’albero. I legami sono coesistenza durevole su una tabella di memoria, non punti su una linea ricorrente. La socialità è in quei legami coesistenti, e non si strappa con la facilità con cui si strappa un filo. Le braccia delle balie sono culle al vento sui rami alti di un albero. L’identità dell’io della nascita un bosco di castagni.
Una piccola variazione di prospettiva. Il pensiero è un “.. oceano di conoscenza anonima al di SOPRA” della spiegazione psicologica delle azioni quotidiane. Il mare sugli alberi è socialità anche altruistica, non solo utilitaristica. L’umanità è sorprendente e fa parlare certi scienziati del comportamento di un illuminismo quantistico.
Abitare la casa del seno, volare tra i rami delle braccia, vegliare l’oceano pensando, svegli, la nuova situazione d’essere nati, e, dopo, dormire cullati dalle onde dei rami mossi dal vento dei canti. Ho sfruttato la dedizione, una certa disposizione verso la protezione, per cantare ai figli appena nati oscillando le braccia e il corpo intero. Ricordando la casa e il letto miei.
Il pensiero della veglia ricrea, talvolta, il movimento che l’ha generato. Giocavo a fare il mare per loro, ad un metro da terra. L’intenzione d’amore la cinestesia dei marinai. Il pensiero del neonato una veglia sostenuta da un mare di rami d’albero, cullati dal vento di parole appena sussurrate.
Timidamente, parole come avessi di nuovo un figlio o una figlia tra le braccia: il pensiero cosciente sembra sempre sul punto di cadere negli imbuti gravitazionali, verso la massa densa delle immagini che piega il tappeto della quarta dimensione. Più che altro il pensiero si svolge sui limiti del sonno. Tra i miracoli di luce e buio.
C’è il miracolo di luce del risveglio, e il miracolo notturno di sapersi addormentare. Senza questa alternanza c’è la certezza scientifica della morte fisica, preceduta dalla disgregazione del pensiero, e, prima ancora, da una degenerazione del meccanismo della termoregolazione.
Il pensiero della specie umana si indaga nella veglia, sul mare che si trova un metro da terra: il ricordo della vita con i bambini mi dice che l’impianto del pensiero, che attivamente svolge questa ricerca, è una culla di rami. Grazie a questa generica conoscenza mi illudo che la teoria dello studio dei sogni possa essere arricchita.
Durante la veglia, nella relazione umana (anche di psichiatria), si porta il sogno al pensiero. Si sfrutta quello che resta della fisiologia del risveglio e della caduta nel sonno. NON si deve voler cercare mai la ricreazione di una condizione di sogno. E non è neppure POSSIBILE trasformare l’inconscio nella coscienza una volta per tutte.
Eppure non si è pronti tuttora a rassegnarci ad una conclusione come amen della guarigione depressiva. Per lo meno, non fino a che ci sia chiaro che il pensiero, cui portare il sogno, è un oceano che corrisponde alla attività della vita mentale inondata dai dati cinestesici dei naviganti, uomini e donne abituati a camminare su oceani di fronde d’albero.
Le moderne scoperte sulla relazione, hanno chiarito corrispondenze terminologiche nuove rispetto al passato, e rifondato le basi di teoria e terapia. La possibilità del sonno è di tornare al primo anno di vita e, (IDMEC) la regressione può arrivare all’amore e alla scienza: alla ricreazione della attività mentale della nascita.
La nascita è pensiero prima del sogno. È veglia sul mondo. Pensiero già differente dalla vita onirica. Alla nascita, subito, c’è la veglia senza coscienza ma senza confusione simbiotica con il mondo. Come detto: nascendo iniziamo la veglia al cielo e ai terremoti.
Sostenere che nascendo si inizia a vegliare su tutto, persino alla luce medesima da cui siamo colpiti, e sui fratelli nati prima di noi (che occasionalmente gli adulti hanno lasciati entrare nella stanza del parto perché di noi prendessero atto ), è teoria e non poesia.
Che la relazione terapeutica sia la riproposizione del risveglio, e anche della condizione speculare dell’addormentarsi, implica che si possa definirla un drago di cartoni colorati, che ondeggia, traversando la folla, nel clamore di festeggiamenti rituali.
La piena coscienza resta un miraggio: e per questo, si spiega, essa è cielo sul mare, e che è un limite della sua natura non riuscire mai, definitivamente, a fermare quel pensiero ondeggiante su un oceano di rami, ad un metro da terra, che tanto le appartiene.
Quello è il pensiero infantile e il pensiero degli scienziati, ed è il risveglio dal sonno, e il cadere nel sonno. È opposto alla fissità irreale della coscienza che, si racconta, è il mare di ghiaccio, che segue alla degradazione termica per privazione di sonno, e precede la morte.
Si muore quando qualcosa, o qualcuno, ci impediscono troppo a lungo, ma talvolta anche distruggono per sempre, la possibilità di ricreare un oceano di rami ad un metro da terra, mossi dalla musica delle parole. Questo adesso si sa.
Se dormire è il primo anno di vita, la coscienza di ricordare un sogno è primo pensiero sul mondo. I due cardini della nascita sono la vitalità di una traccia e la veglia di un io che è pensiero prima della funzione del sogno. Nascita e primo anno di vita presiedono alla possibilità di addormentarsi e svegliarsi. Dovremo riuscire a ricrearli nel rapporto con gli altri. Per il loro ed il nostro bene. (IDMEC)