partitura d’addio

14 Dicembre 2012 Lascia il tuo commento

29 Maggio 1453 La Caduta di Costantinopoli – podcast di Silvia Ronchey- Rai2 –

Parlavamo dell’eclissi di luna che si verificò pare il 22 Maggio del 1453 e ne parleremo anche in seguito perché spaventò a morte i Bizantini e in parte anche i Turchi. Però occorre parlare ancora di luna e di sole. Abbiamo visto che ne parla Tursum Bey (La caduta di Costantinopoli – Feltrinelli editore) : a proposito dell’accampamento del sultano. Abbiamo visto che la luna, una falce di luna calante, non crescente, ed è strano perché questo Impero Ottomano è un impero che cresce, perché una falce di luna calante nella bandiera del nascente e trionfante Impero Ottomano..? Beh, prima di rispondere però vorrei sottolineare il fatto che luna e sole ricorrono anche nelle fonti bizantine e per esempio nel finale di un bellissimo Compianto anonimo su Costantinopoli si chiama Anaklima tis Costantinopolis composto in lingua greco-demotica, cioè popolare, ma di alto tono letterario, che secondo alcuni proviene da Cipro e secondo altri, e più probabilmente, proviene da Creta ed è forse il più bello, ma è difficile decidere qual’è il più bello tra questi molti ‘lamenti’ per la caduta di Costantinopoli. Ma questo ‘lamento’ è qualcosa di un po’ più letterario e ve lo cito perché alla fine, dopo avere narrato quanto è accaduto il 29 maggio 1453, si conclude così:

 Cielo non tollerarlo,

Terra non sopportarlo,

Sole spegni il tuo lume,

Luna non consentirlo.

Farò un piccolo discorso allegorico:

immagina che il Sole sia Costantino il Grande

e chiama quindi Luna la sua nuova città.

Non ti sembri bizzarro quanto sto dicendo,

un Grande Cosmo infatti Dio chiama l’Uomo

e lo ha posto nel Piccolo Cosmo che è il Creato.

Erano gli imperatori il Sole

e la città era Luna.

E neanche la Luna splende se viene meno il Sole

Curioso questo capovolgimento: l’uomo come macrocosmo e il creato come piccolo cosmo. Ci sono molte implicazioni ma questa del sole e della luna, dell’Imperatore come Re-Sole che fa parte di tutta la teologia della dottrina della regalità e dell’autocrazia Bizantina e che poi tornerà -grazie alla riscoperta degli studi bizantini- all’assolutismo europeo e alla monarchia di Luigi XIV che si chiamerà Re Sole proprio sulla scorta dello studio delle fonti bizantine in proposito….”

Ma lascio a chi ne abbia interesse di cercare il seguito della diffusa meravigliosa relazione della storica a proposito della caduta di Costantinopoli. Osservo attraverso la successione delle parole la poetica dei nessi che saltano le epoche e stringono le analogie e si serrano ai significati che in sostanza sono il succo del suono delle parole medesime che è linguaggio. Quanto ascolto, e copio in parte, è stimolo al pensiero che per onestà di scienziato colloco alla base di una ricerca differente, ampia, articolata fino ad una nuova coppia di parole, una partitura che separa e canta e coralmente traccia sentieri grandi per esodi e ritorni, per nascite, scivolando via come lacrime sulla guancia mentre mi allontano dal cimitero delle parole  morte dei trattati senza cuore. Partitura d’addio.

Partitura d’addio scrivo ascoltando le gesta del sole e della luna, del re/sole della città lunare di Bisanzio, e ascolto la poesia, il canto finale della disfatta e dell’invasione e dello spegnimento: Erano gli imperatori il Sole, e la città era la Luna. E neanche la Luna splende se viene meno il Sole. “Quando e se muore il sole neanche la luna più splende” mi ripeto in silenzio e diventa un pensiero sovrapposto ma non contraddittorio l’apprezzamento estetico in forma di passione dato che non avevo mai sentito niente di simile prima e questa è poesia scientifica del rimando e della riflessione. Partitura d’addio compongo con le dita sulla tastiera virtuale della tavoletta al silicio. Ascolto il racconto delle mura da difendere dall’armata del drago e dalle bocche da fuoco dell’esercito di quattrocentomila uomini di Mehmet II°. E il racconto che è storia diventa una favola e non è solo un resoconto ma è un minuetto di alternanti testimoni di inchini di giuramenti e di sorrisi che forniscono dati cifre e numeri di somme di soldati e armature e frecce: sui due fronti.

E’ una storia liquida tenuta insieme dall’acqua nel fluire, sulla terra, del fuoco del sangue e nell’innalzarsi, di fronte alla terra, delle mura azzurre di mare di una città fatta di calce e sale. Era molto piovuto a marzo. Per il fango, che si opponeva al suo avanzamento, la grande bombarda da seicento -o forse addirittura mille- metri di gittata dovette essere trasportata da centocinquanta coppie di buoi fin sotto le mura della città accerchiata. Nel pensiero si diffonde la conoscenza-immagine che in quel maggio 1453, quando scoppiò l’assedio e la trucidazione di due eserciti, a Costantinopoli fiorirono improvvisamente, e contemporaneamente, milioni di rose.

La storia tinge la natura fiorente questo è certo. La storia è il fiume di sangue che colora di rosso tutti i milioni di rose sbocciate improvvisamente per le piogge del marzo passato. La fioritura che non si interrompe però si colora accanto alla fortezza di potenza delle tinte della strage.

I medici dalle parti opposte cuciono e cauterizzano, in un grande dispendio di braccia gambe e teste fracassate ma nessuno piange: si sprecano grida forti di dolore oltre una certa soglia di intensità del taglio e del fissaggio di ossa rotte.

La grande bombarda, ma erano addirittura sette di calibro smisurato, sbriciola i mattoni il sale e l’acqua dei bastioni e chi se l’aspettava? stupiscono gli assediati, ma resistono ostinatamente ed efficacemente. Si sa che in realtà era possibile non capitolare e che gli assediati potevano vincere e che la loro sconfitta non fu mai evidente o prevedibile e accadde solo all’ultimo minuto. Quasi in maniera casuale.

29 Maggio 1453 La Caduta di Costantinopoli – podcast di Silvia Ronchey- Rai2 –

Si perché tra il gennaio e il febbraio del 1453, quando si trattò di trasportare il cannone di Urban da Adrianopoli fino alla distanza iniziale di cinque miglia da Costantinopoli, che poi come vedremo, ad aprile sarà accorciata, beh.. Ci vollero due mesi e un impiego di mezzi inaudito. Secondo uno storico bizantino (…) furono necessarie settanta coppie di buoi e duemila uomini. Secondo il nostro Leonardo di Chio, che insomma non era neanche un credulone, ci vollero addirittura centocinquanta coppie di buoi per spostare il cannone più grande. Del resto la difficoltà di trasporto non ci deve sorprendere considerando le dimensioni, il peso, il calibro della grande bombarda e le condizioni meteorologiche, le piogge. Fu, fra l’altro, un aprile piovoso, il che forse spiega quella grande fioritura di rose poi a maggio… Crudele fioritura di rose. Dunque questa enorme difficoltà, questa grandiosità, questa megalomania di Mehmet II°  sono dei tratti ricorrenti del suo carattere, ma sono forse anche il suo genio. Potrebbe essere visto, tutto questo, anche come il suo delirio di onnipotenza: però se Mehmet non avesse vinto. E non era così scontato che vincesse. Era vista proprio così, come megalomania visionaria, come hybris per dirla alla greca, la sua… Era vista così dall’ala moderata del Consiglio dei Visir, l’ala capeggiata dal vecchio Halil Pascià, l’erede del modo di pensare, di fare politica e di governare del padre di Mahmet II°. Che, non dobbiamo dimenticare, dopo un primo esperimento fallito di mettere sul trono il figlio (peraltro illegittimo) l’aveva mandato in esilio. Mehmet poi, come abbiamo visto, salì al trono strangolando l’altro bambino che nel frattempo suo padre Murad II° aveva avuto e che avrebbe dovuto essere l’erede. Insomma era un personaggio discusso questo Mehmet II° e alla corte veniva biasimato proprio per il dispendio immenso, secondo alcuni sconsiderato, di mezzi ma anche di uomini dato che per l’assedio di Costantinopoli aveva sguarnito praticamente tutte le frontiere e diciamo che … Il fatto è che la storia è fatta dai vincitori e noi non abbiamo altro che storie di Maometto II° il Conquistatore, ma se egli invece non avesse vinto… E guardate che questo era più che possibile fino alla fine e la sua vittoria fu casuale. Perché nella storia in realtà quasi tutto è casuale, solo che a-posteriori poi si fanno dei ragionamenti: da un lato appunto essa è scritta dai vincitori, dall’altro la fede, la fede in una provvidenza, la fede in un destino o anche semplicemente una fede storicista, la fede nella necessità di una direzione della storia. Ma se invece noi guardiamo la storia dei vinti e se guardiamo le direzioni, le diverse direzioni che la storia avrebbe potuto prendere – e avrebbe potuto !! – beh, allora queste certezze cominciano a decrescere e forse noi dobbiamo vedere veramente Mehmet II° … sì … come un giovane geniale, forse pieno di fantasia, ma sostanzialmente, come lo descrive Isidoro di Kiev, come un pazzo.”  

La storia è casuale: solo che poi, dopo, la si giustifica inserendola in un provvidenziale disegno secondo una menzogna -che è il filo della storia del mondo – mascherata in senso e indirizzo. Ma adesso sappiamo qual’è il dato sostanziale che attraversa e tiene la questione imponente della caduta di Costantinopoli. Il filo cioè il dato e insomma il disegno di un asse di sostenibilità e di narrabilità di tutta quella vicenda di conquista di una città – che è anche la capitolazione di una città – e che poi ha cambiato radicalmente le relazioni tra Occidente ed Islam – e dunque ha cambiato le sorti dell’occidente e del mondo intero – quell’intelaiatura di sostentamento dell’enormità dell’evento ‘storico’ non è una provvidenza o l’affermarsi dei segni evidenti di uno Spirito! È un fenomeno di coincidenza tra la fioritura di milioni di rose e la strage di centinaia di migliaia di vite il 29 di maggio del 1453, a Bisanzio.

Le rose esplodono a milioni dove fioriscono morte, e stragi, e liquefazione delle mura in sale calce e acqua. Il grande cannone -faticosamente trasportato alle mura- polverizza il corpo di Costantinopoli con i suoi proiettili e polverizza mattoni e calce e liquefà l’acqua rappresa insieme al salmastro attaccato alle pietre.

Le rose di Costantinopoli dicono che la storia, in quella magnificente misura, è tragedia e poesia e che certamente non è significato. Non si consola, con un motivo di prevalenza dei giusti, neanche una goccia di sangue. Solo le rose non si piegano allo sconforto. Gli esseri umani si. La divinità, se c’è, guarda ebete (senza capire) il dispendio di corpi fatti a pezzi. Osserva senza partecipare: restando al di qua di milioni di fiori. La vera storia risulta una narrazione confusa. Da qui appare nella sua valenza di poesia tragica: il ‘fiorire’ della morte  di centinaia di migliaia di uomini che si confonde con il ‘fiorire’ della fioritura di milioni di  rose.

Io mi dico che è più saggio cercare, per il pensiero, una fisiologia al di fuori del finalismo e della ragione. E che (perché) potevo amare nello stesso modo una donna differente da te e questo potrebbe sempre succedere senza che io lo abbia deciso. Mi dico che quando capita che un amore nuovo scaccia un amore vecchio un fiume di sangue colora la fioritura di milioni di rose. Il pensiero e tutta l’anima nostra assumono, in quelle occasioni, la gloriosa bellezza dei canti per i morti e la coralità fondativa di una partitura d’addio.

Allora possiamo comprendere il suono inquietante di una teoria nuova e di una scoperta scientifica che cambiano la fisionomia della terra.

Poiché l’arte e la storia sono del tutti casuali gli artisti e i condottieri sono pazzi assai più spesso che gli scienziati.


hotel california
la questione morale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.