sfidarti

28 Marzo 2023 Lascia il tuo commento

La cultura s’è circoscritta alla consumazione. La vita mentale, di conseguenza, alla consunzione. Il camminare è tutta una lotta, passo dopo passo, in opposizione allo squilibrio. Ho appreso a pronunciare il discorso disponendo le parole in fila con assonnata insistenza: hai in mente le litanìe?

 

Le cause di tutto questo non si sanno più. Redini di cuoio sudato ci passano sopra le spalle presumibilmente tenute saldamente, con padronanza di sfruttatore, da un postiglione forsennato e invisibile.

 

Altrove una via corre tra case abitabili dove mi offri da bere e fette di torta appena sfornate. Mentre dalla bocca della cucina economica svapora un profumo di vesti corte a fiori, che non so se sia odore cremoso di grano e zucchero, o invece non venga direttamente dal cotone che ti si appiccica addosso come un guanto elegante di pelle le sere di certe annuali imperdibili cerimonie attorno alle mani diafane di germoglianti ballerine lucide di anonimo desiderio. 

 

“Parli di ciò che non sai!”

 

Una vocina suggerisce il sospetto che sia indimostrabile, col solo parlare, la natura del linguaggio.  E che soltanto tutto ciò che non è stabilito si può dire, perche è altresì impossibile dire il dato. In quel caso infatti le parole freneticamente accorrenti verso la definizione ultima si agglutinerebbero in un impasto di resina nera in una stanza buia e resterebbe, ci piaccia o meno, una quantità di materia pari alla costante di Plank*.

 

*(ci si informi sul suo valore matematico).

 

“Parli poco e difficile, mio amore presuntuoso!”

 

La tua vocina carezzevole all’orecchio.

 

Certo, hai ragione. Ma oramai io so che si parla sempre soltanto per noi. A meno che si voglia un destinatario ruffiano.

 

E poi: ti dico questo che ti dico per evitarci anche la minima scusa per cedere alla dialettica, da tutti i ritardatari stimata giovevole.

 

Il tuo corpo mi invita al mutismo di una relazione disinteressata senza pretesti per, come si dice, approfondire.

Non c’è aria tra i corpi accostati. C’è un calore soffocante.


Il sesso, di conseguenza, sono giorni di aridità e di sete e noi, lentamente e irreversibilmente, siamo diventati iguane e ci mangiamo, digerendoli come niente fosse, mucchi di cartapesta di cui furono modellate, più di due millenni fa, le maschere del teatro dialettico.

 

“La bocca premuta all’orecchio!”

 

Il regista protesta. Comanda di inventarci i presìdi adatti alle attuali necessità di una recitazione differente da ‘prima’.

 

Le luci cadono fino quasi a zero accompagnando l’uscita rapida degli orchestrali.

 

Due iguane sono una curva e un apostrofo di fosforo e brace: e non resta nessuno che resista al calore del loro mutismo spogliato.

 

“Allagate il golfo mistico!”


Il regista è l’ingegnere della diga che sovrasta e alimenta il palco del teatro idroelettrico.

 

Di vita acquatica è il nostro pensiero.

 

I baci stanotte risulteranno difficili per le facce che c’abbiamo di rettili. Musi allungati in pose bloccate. Fisionomia di una morfogenesi alle prime armi che si sceglie la mimica essenziale di chi esce dalle paludi.

 

Labbra fuse.


Mani libere.

 

“Agilità! Agilità!”

 

Rimbomba la voce del regista-zar. Toni che non c’entrano quasi niente coi consigli del teatro passato. Il dittatore suggerisce il mezzo per realizzare la scandalosola manifestazione di inusitato potere insita in un amore di questa qualità.

 

Che viva chi saprà restare.


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dedizione?
esperimenti di estetica sensoriale

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