senza quartiere
Seduto, la schiena allineata alla spalliera della poltroncina ergonomica. Ce ne sono ancora, in rari caffè i cui proprietari, partigiani di osteopatia, hanno mantenuto fino ad oggi la grazia dell’ospitalità.
I tempi lunghi si sono salvati in quei luoghi ricercati. Si annidano nell’angolo accogliente che la spalliera compone con la linea del marciapiede. Generalmente inconsapevoli della fonte di benessere che dalle vertebre si irradia nello spazio fluttuante attorno, digiuniamo colazioni al caffè forte che niente più ci manca.
Scivolano onde di sapore dalle labbra giù indietro, in gola. Oltre le labbra è prima della fase orale. Prima della fase orale sta dopo la bocca, sul palato.
I tempi lunghi in bar accoglienti del centro storico sono attualità. Moderni siamo. Privi di mitologie. Restituiti da sedute commisurate alle posture del ricordo e dell’attesa siamo prima di Freud.
Pensieri filosofici ottenuti per perfusione di noi attraverso sostanze coloniali tostate e macinate.
Alla gola e alle dita splende fugace questa oreficeria su misura. Gioie in esclusiva. Rarità coloniali.
L’aria sbuffa vanigliata dalle finestre del quartiere delle pasticcerie aromi e amori.
Il tempo in questi bar dalle seggiole accoglienti è tempo di cosmogonie minimaliste. Si ragiona di giorni prima che di mondi. Il presente è un palazzo sulla strada.
E la strada è vita senza quartiere.