ospite e ostaggio
È stato struggente invitare al tavolo del nostro bar il tempo. Pregarlo di sedersi accanto a me. Si è seduto dove in genere siedi tu. Compunto e passeggero. Non che avesse fretta. Solo lui dice che è ubiquo più che eterno. Fantasioso, si è definito.
In effetti di fianco a me lui oggi tirava i fili di parecchi ricordi. Tendeva linee elettriche sul nostro angolo del bar. Collegava ogni istante passato insieme in una rete di corrente per illuminare mesi e mesi. Sicché il tempo stamani era la maglia scintillante di tutti i nostri momenti passati e futuri.
Poi s’è alzato e se n’è andato con un abbraccio che nel chiudermisi addosso mi ha aperto un varco come la porta in una muraglia.
“La sua cedevole ospitalità, il suo amore per te, i suoi occhi cambiati inclini a perdonarti tutto sono una grande occasione. Il suo ciclopico primitivismo è una arcaica tecnica di fusione delle anime. Tu nelle sue mani sei una chiave di ferro rovente. E non puoi che essere insieme ospite e ostaggio.”
Urlava turbinoso a traverso l’uscita e poi sulla strada. Con un guizzo ascendente s’e ammutolito nelle nuvole grigie che, da stamani, ancora insistono sulla città e mi fanno venire alla mente un campo rovesciato di erba e pioggia.