operatori
L’amore è stato un ‘operatore’ della mia vita ultima. Stento a dire dell’ultima parte della mia vita. Dirò: della parte fin qui esplicata di tutti questi anni.
Quello che chiamo ‘questo amore’ è insieme suono appassionato di un altrimenti indicibile sentire cose in me che istantaneamente ogni volta si riversano su un volto e una voce, e cose devolute all’altro essere umano (altra, al femminile, oggi).
C’è un punto di silenzio sempre nel rapporto con ‘lei’ ogni volta che opera (cioè aziona) certe ruote intime: l’operatore infatti non ha doti di neutralizzazione ma di iniziativa.
Io mi sono apparso passivo e dipendente perché una volta ancora ero infervorato da intenzioni involontarie. Da un volere con vaghezza. Quando le azioni sono eseguite da fibre muscolari distratte: che non si oppongono più all’innervazione psichica.
Osservo con tenera furia infantile il ragazzino furbo fermo sul margine.
L’operatrice si pone dove non sapevo d’essere e pone la questione del mio non essere precedente.
Non so ripetere una per una tutte le sue peculiari proposizioni.
Molto avrò da fare per risolvere la mia residuale ignoranza.