lo scandalo di voler comprare una donna
Mi compro quella bellezza di donna. C’è un modo, penso, senza offenderne la dignità.
Mi invento una storia breve bruciante quasi offensiva, estrema, da farla innamorare. Per esempio che i re Magi erano tre drug queens dai costumi eccessivi. Vestiti dagli aurei rossori di neologismi bastardi adatti a comparire di fronte a un bastardo dall’anima composta di provocazione e scandalosa bontà.
Le potrei mostrare i miei propositi di una fedeltà sgangherata. I tralicci di una industriosa inutilità, prima, quando ancora non la conoscevo, ora addolciti da orli damascati, da stoffe di regalità residua.
Potrei prometterle questi miei anni al fosforo o regalarle la tunica di seta tessuta dal bozzolo dei miei tormentosi dubbi d’amore.
Proiettare per lei il film originale della Agenzia Aerospaziale di me quando, navicella infuocata, traversai deciso l’atmosfera nel viaggio di rientro dalle mie ripetute crisi di stupidità. Mostrarle lo spettacolo del sogno nel quale io veleggio ondeggiando su lei.
“Oohhh mio Mediterraneo!” potrei gridarle alla frontiera. Potrei, e lo farò alla fine, comporre altre scomposte sfacciataggini.
Potrei descriverle un presepe nella Medina. Cantarle una ninna-nanna truce, storia in rima di derive e perdite. Ed essere dolce nella voce che invita a dormire traendo sangue caldo dalle efferate pretese di una tragedia suburbana.
Avanspettacolo e passioni kitsch. Sul suo viso il mio. In aria la mia nuova intonazione.
Ti amo! (tutto in un fiato, per superare la timidezza il timbro della voce arrochito dal mio vizio di esagerare sempre…)
Magari lei capirà che non c’è verso. Che non potrebbe, oramai, a quel punto dove l’amore di un uomo sfiora il ridicolo di una definitiva alterazione mentale, che amarmi.
È comprare una donna questo? Ti dico di no. Questo è tirare fuori dalle tasche tutto quello che ho da offrirle. Non il suo prezzo: la mia povertà al suo cospetto.