l’erba dei canti
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”china su A4”
(Polaroid)
Ti amo deve essere pronunciato piatto: quasi da non sentirlo.
Bisogna pronunciarlo avendo a mente l’inconsistenza del deserto, l’erba smeralda delle terre alte, gli ovali di nuvole trasparenti. E le regalìe, come vengono in sogno.
Ti amo è neve, mercanzia, fiera di uguali, dimensione, destino.
Ti amo, proteiforme e provocatorio, offende la mente ragionevole.
E poiché la mentalità di uno determinata ad amare (e amare è la principale fonte di ogni determinazione) è priva dei fini e delle cause, Ti amo è la figurazione di una quotidianità aprospettica disordinata e diffusa su uno sfondo invece di ideale simmetria.
Qua siamo oggi. Nell’impossibile perfezione dell’equipotenza. Nell’inaudito che la voce diventa nella pittura. Nel silenzio della mente che precede le parole.
Ti amo dev’essere pronunciato piatto quasi da non sentirlo perché fu un modo molto prima che diventasse un suono.
Ti amo vuol dire la simmetria del silenzio. Il fondo nel quale da assai prima di oggi si è svolto il pensiero di lei.
E sempre succede di amare molto a lungo prima di accorgersi d’essere innamorati. La parte più consistente degli amori non viene mica espressa. Sono tra noi. A tirarci. A suggerire una vita possibile. A gridare anche, certe volte. A pretenderla.
Ti amo deve essere detto che quasi non si senta per costringere ogni nostra silente intenzione ad accostare l’orecchio all’erba dei canti. Al popolo di questi imploranti.
Sai mai: ci persuadessero a dire la verità.