l’amore di un filosofo che, per amore, divenne carpentiere
Avere un amore è sapere di averlo. Sapere di averlo è saperlo volere. Se sei te che voglio è me che devo comandare alla libertà. Devo portarmi ai campi aperti, ai cieli marittimi e anche ai chiarori lunari delle cime.
Da quando ho preso ad amarti è di me che ho intrapreso la conquista. Le schiere dubbiose dei miei mugugni filosofici vagavano sparse in infertili regioni. Muovevano in atteggiamenti da parata. Sonnolente.
Provavo la marcia in cortili di caserma. Costretto dai muri eseguivo una serie interminabile di dietro-front. Con estrema eleganza di certo! Ma nella mia tronfia grandezza di una massa che avanza, ero costretto continuamente a imbarazzanti inversioni di tendenza.
Avevo acquisita negli anni la maestria del delatore. Ti amo …. però. Eccola l’ulcera antica. La cronica nenia cantilenante.
Dirti ti voglio fu un grande impegno. Ogni istante il volere è presenza. Aggregazioni differenti di sé muovono il viso in composti sorrisi. Il volere è muto. Io allora ho cambiato mestiere .
È stato perché il mio arrivo alle nuove terre non si contentava. È stato perché amarti è stato subito obbligo di aspettare. E amarti così è per sempre: cioè, per sempre, al meno: ‘volerti’. E questa chiarezza di comprensione s’è alzata in aria come una schiera folta di uccelli sconosciuti. E io ero già un navigatore.
Un brigantino, slanciato, si è lanciato a risalire le acque del fiume perché non bastava la navigazione costiera al progetto di conquista di ulteriori vantaggi della scoperta.
Volere mi si è chiarito come un opporsi alla generica deriva: ma, poi, anche a certe precise intenzionali ‘correnti’. La chiglia, mi sono detto a quel punto, dovrà tagliare flussi inerti.
È stato allora che ho capito: l’amore è un’opera. E non ha alternative.
Di questi tempi il brigantino è il sogno di ogni amore ‘impossibile’. E bisogna lasciare la riflessione filosofica e assumersi l’impegno del cuore.
Da tempo oramai mi dedico ad eseguire la piegatura delle assi per fare nobile la mia nave nuova.
Ti amo come sei così altèra di incertezza, esitante d’impreparazione tra differenti eleganti vestiti da mettere, sempre regale, ammantata di dignitosa condiscendenza.
Io, a causa dell’inattuabile (fin troppo facilmente legittimato dal ‘non posso’ filosofico), ho portato l’opera d’amore per te in carpenteria. Del sentimento di allora resta il potere di un impegno accalorato. Il procedimento costruttivo della passione del fuoco sul legno.
Nel cantiere navale risuonano le grida, poco nobili, dei gabbiani (che non sono ‘buoni’ per loro natura). Io gli oppongo il ricordo di un abbraccio per strada, la rivelazione del tuo stupore, la convulsione della tua mano sul mio braccio, la meteorologia impazzita di un giorno di assoluta mancanza di me che seminasti il marciapiede delle tue sigarette sottili e di una insolita nervosa impazienza.
Intanto io -non più filosofo, slegato dal voto di obbedienza alla coerenza di un pensiero ‘astratto’- perseguo l’ideale di massima efficienza dell’attività muscolare.
La manualità cui mi costringi, i bagliori lancinanti del tempo riflesso sul tuo viso ridente, mi consolano che ‘non c’è mai neutralità nel movimento’.
Attrazione e repulsione sono evidenti immediatamente a ridosso del piano muscolare. Non si tratta di intenzioni. È il quasi niente che muove le mie mani a ‘fare’ dal nulla la nave.
Si tratta di avvicinarsi alle cose dalla parte dell’universo in cui esse non ci sono. Perché mio è il mio amore per te. Tue le risposte. Però solo nelle tue risposte io mi trovo.
Noi ad oggi siamo il quasi che protesta e si sgola. Noi siamo promessa di essere quel niente cui tendiamo.
Mi illudo che senza l’opera dei carpentieri che disegnano nell’aria la nave dalla parte vuota del mondo il pensiero resterebbe senza sostanza.
Aiutami a cancellare l’ultima frase.
1 commento
Grazie da un’esperta di finanza che, per amore, sta diventando una sperimentatrice di se stessa