‘La Tempesta’ di ‘Golconda’

19 Maggio 2011 Lascia il tuo commento

‘La Tempesta’ di ‘Golconda’

Nel cielo sopra le strade della città figurine con lunghi cappotti neri in un tempo storico incerto di ricostruzione che creano la nostalgia di un acquerello dove si vuole riposare perché ci sono tempi al riparo e i capolavori ne sono disseminati. Il Giorgione dipingeva La Tempesta (*) stendendo sull’erba l’ombra profumata di pioggia lo spazio libero tra il prato e le nubi per le parole disattese ma oramai incipienti ancora adatte ai nostri giorni, per discutere assieme sotto gli ombrelloni dei bar: della società, della politica, delle prospettive, di noi, della mattina in gioco, della donna disponibile, dell’uomo arrogante. Sotto l’incalzare dei passi che si moltiplicano via via che il sole si innalza e si scalda l’umore ché stamattina non avremmo detto di poter contare tutte quelle buone ragioni che arrivavano dal fondo. Insieme agli omini di Golconda di Magritte (**) che salgono e scendono nel condominio celeste ci chiediamo dove sono coloro che sanno avendo letto le evidenze senza lasciarsi confondere, dove sono -che ora potrebbero farci felici togliendoci tutti questi brividi- le modelle nude di fronte agli occhi dei pittori ritratte negli studi disadorni ma immerse poi in una allegoria di panorami come mantelli sul confine della figura mantelli affrescati con le cose di tutto un mondo di natura che veglia da allora per sempre quelle figure bianche come uno sguardo filiale vigila il sonno di un vecchio. Dove si sono cacciati quelli che a buona ragione dovrebbero aver saputo capire e non lasciarsi turlupinare da asserzioni confuse, quelli cui ci siamo rivolti nei dibattiti introspettivi attorno ai tavolini dei Bar Della Nostra Inevitabile Solitudine, mille volte restando composti senza accennare nulla più che condiscendenti sorrisi al mondo intero che scorreva ‘…non fa niente basta sentirsi sulle spalle quel calore del proprio diritto alla permanenza alla inutilità alla salvezza immeritata…’ e si sa ci dicevamo ‘….l’amore arriverà a sanare…’ anzi tutti amori adesso paiono anche i blandi sorrisi che ci trovano assolutamente preparati perché anche noi siamo modelle nude alle tempeste alle colazioni ai prati di papaveri allo sguardo disadorno degli unici dei che potrebbero darci la vita che sono ‘gli altri’ subito oltre il limite dell’area sottoposta a tassazione che ci viene offerta in cambio di fugaci consumazioni per esporre senza pudore una imbarazzante ed altrimenti incondivisibile solitudine. L’odio per le voglie assertive dei vicini è una vera e propria espressione che inforco con gli occhiali da sole, poi  contemplo lo specchio della vetrina che mette in scena il film muto delle chiacchiere e delle consumazioni all’interno della pasticceria e tutto quanto mi resta estraneo e tutti coloro che dovrebbero sapere avendo letto attentamente quanto c’era da leggere senza farsi incantare dalla critica mi passano davanti come gli omini di Magritte che pur se certamente vanno su e giù alla catena di montaggio della fabbrica fordista del tempo -come percorressero trasparenti canne d’organo- ebbene quegli omettini si rivelano assolutamente immobili ed il loro moto è finzione, movimento illusorio e per questo nel pensiero di nuovo si apre la voragine tra la ragazza nuda e le nuvole, tra la donna nuda e il lago alle spalle, tra i fianchi e i seni della modella di Matisse e gli occhi attenti ma non proprio affettuosi del maestro all’opera. La vitalità dei testi non contiene quasi alcuna intenzione di significato. Ti scrivo ‘amore mio’ l’indecisione costante l’eterno sentimento di incompletezza lo sdegnoso silenzio da cui nacqui e tutto il frastuono della sciarpa rossa che capita di avvolgermi al collo quando ho voglia di cantare. Sono sfuggito alla pretesa di aver prima qualche cosa da dire che mi autorizzi a dire qualcosa. Evoco la tua appassionata pazienza come la vitalità indispensabile se proprio vorrò sfuggire la fine e agito la magia di letture bislacche e frammentarie dove immagino abbiano messo i piedi quelli che sanno e molto prima di noi traversarono il confine. Gli omettini compunti di Magritte vanno al suono delle fisarmoniche come è evidente dalla serialità con la quale sono concepiti mentre escono dagli sfiati delle valvole sonore dei mantici: vedi è evidente dalla precisione di garbo probabilistico con cui sono stati disseminati in cielo che sono note rondini e onde elettromagnetiche individuate come flussi altrimenti invisibili d’un aria elettrica di tempesta. Vedi oggi sono un ragazzo da marciapiede la vitalità stava tutta nell’arenarsi sulle palme delle tue mani sognate aperte come sull’ennesima spiaggia di una serie inarrestabile di possibilità di continuare ostinatamente una certa ricerca.

(*) Giorgione: La Tempesta è un dipinto a olio su tela (82×73 cm) di databile al 1505-1508 circa e conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Celeberrimo capolavoro, si tratta di un appassionato omaggio alla magia della natura, oggetto di innumerevoli, e ancona non definitive, ipotesi interpretative e letture. (Ricerche: qui )

(**) – “Golconda” René Magritte Olio su tela, 1953 : 80,7×100,6 cm. In quest’opera Magritte moltiplica a “stampo” il curioso personaggio presente in molte altre sue opere, caratterizzato dal vestito e dalla bombetta neri. Il paesaggio, composto da case e tetti tipicamente belga e da un cielo opaco e senza nubi, è ancora una volta caratterizzato da un realismo elementare…..(continua qui il testo critico su ‘Golconda’ qui ) ( ricerche su Magritte qui )


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