inconcludenza
C’è accanto a me sotto il cielo pieno di giganti in decollo e in atterraggio la valigia nera con maglioni e pantaloni neri anche quelli (perché mi imbarazza rischiare accostamenti di colore che potrebbero risultarti disdicevoli) e camice celesti e profumate e biancheria in quantità sufficiente e tutti i fogli che ho scritto e che domani mi risulteranno quasi estranei perché io cambio i toni espressivi giorno dopo giorno e mi chiedo sempre chi è che ha scritto queste cose e li avevo comunque presi con me quei fogli non miei e sparsi disordinatamente tra i vestiti la biancheria i delicati taglienti strumenti da toilette la crema il rasoio il sapone neutro ( e i guanti di pelle che porto sempre: per scaramanzia).
Nel piazzale sorvolato di giganti in decollo e in atterraggio ci sei anche tu inafferrabile asincrona inattuale stramba stralunata irriconoscibile come le cose che stanno scritte sulle pagine in valigia di cui dicevo che sono piene di sensazioni vaghe oramai perchè restano vere soltanto in ciascuno dei giorni nel quale furono scritte.
E voliamo insieme semi addormentati poggiando io la testa sul finestrino che dà sull’ala sinistra dell’aereo e tu la tua testa sull’ala (destra) della mia spalla ossuta.
Alla conferenza dopo la traversata sull’oceano coi fogli tra le mani fingo una lettura ma racconto quel che mi viene in mente e poiché prediligo ad ogni fine implicitamente arrogante una dignitosa posizione di inconcludenza accenno al valore trascurato dell’eleganza insignificante di un sasso che stava tra la sabbia del giardino (una vera spiaggia dietro casa) perché aspiro a far notare a tutti le sorprendenti identiche insignificanza e neutralità che ha anche il cielo quando (raramente di certo) resta privo di specificazioni (cioè senza neanche una nuvola) e (dico) “…un cielo traditore che non offre spunti retorici tanto che se si sceglie questo epilogo non provvidenziale tutto può cessare all’improvviso di fingersi letterario…” e in quel punto smetto di parlare.
Prima che la tensione causata tra il pubblico dal silenzio prenda il sopravvento (posto che quel silenzio si può sospettare che riposi sui ‘nudi’ vividi in mente che sono il vero oggetto della mia relazione accademica) accenno con aria grave al fatto che i viaggi non finiscono “O meglio” mi correggo “non si concludono in un punto ma dispersi in uno spazio senza asperità che all’inizio non c’era” e “..questo è perché” affermo “l’inconsapevolezza (l’ingenuità) è un ‘punto’ e la distesa di acquisizioni entranti un ‘deserto’…” poi nel bel mezzo del deserto e della relazione salgo sulla valigia come su una duna per fare il verso a chi scrutasse qualche centinaio di metri più in là dal luogo nel quale si è venuto a trovare finché concludo “…la linea di orizzonte si sposta senza che alcunchè di verticale appaia rivelando che alfine siamo in una terra imprevista dove niente si frappone a niente.”
Intanto penso che gli abiti nei mille gradi di nero che avevo riposti in valigia devono essere stati un presagio di questa mia mentalità antiletteraria che non poteva nascere se non nella mia mente piena di te che si fa placida Siberia insomma estrema prospettiva (non più occasionale oramai) di invarianza cioè (se mi puoi intendere) forma di fedeltà senza sorprese e di crescente vicinanaza ora che tutte le cose che si sanno sono sempre più numerose ma ci ossessionano perchè il loro incremento è un niente falsificato nel numero smisurato di dati.
Stamattina fa un secolo che tutto fu sconvolto e i giganti riposano ammassati sulle piste di cemento e le ali servizievoli strappate divelte dalla guerra scintillano in schegge angeliche e non si dorme quasi più perché siamo (i migliori voglio sperare) dritti di guardia in olimpica beffarda quiete e io per conto mio taciturno a causa dell’ammirazione delle opere artistiche della performer muta che m’aveva letteralmente preso il cuore ed è rimasta nella città sotto il fuoco nemico senza che avessero più un nome né la ragazza né la città senza più un confine a separare la carne dal cemento e il ferro ritorto dalle eliche delicate del DNA.
La guerra ha svegliato il re felino che nel buio orientale sciala vite umane e versa sangue così copiosi che si dovrà rifare tutto dal principio e cacciare serpi per fame capriccio e dispetto e farsi alleanze e inimicizie e un poco sanguinare per pugni e ferite d’amore e non potremo difenderci dalla consapevolezza che l’inconcludenza assediava ogni compimento già da quei momenti in cui (intanto che portavamo a termine il dovere di straziarci l’anima nelle finzioni epiche e tragiche dei giochi infantili) la luce del crepuscolo inoltrato tanto piena di promesse rapidamente andava via e … “…di certo s’è nascosta tra l’erba..”
Categoria: Antropologia