Sherwood minore
Il giovane cavaliere si muove in forma di corpo buio nel fogliame di Sherwood. È una Sherwood minore in relazione al nome. Il nobile protagonista che non ha alcun vessillo strappa via dai rami l’ordito delicato della luce che filtra nel sottobosco. Basterà.
La nascita, nel bambino, contrariamente a quanto si vuol far credere, è un evento in tono dimesso. Il suo volto perplesso, tracciato dalla luce improvvisa del mondo, recupera quasi subito un contegno corrucciato e indifferente mentre si immerge in sé.
Il sentimento che ci anima nel venire al mondo è il centro dell’esistenza. Ma non si è ancora indagato. Si crede che sia terrore e angoscia: ma dove sono i segni?
Ridotto il flusso di luce alla conclusione del parto, ricomposte le convulsioni dell’ultima spinta i medici vedono bene con che rapidità, impropria rispetto al travaglio, si instaura lo stato crepuscolare delle prime ore di vita.
La vita comincia in questa pozza oceanica di paradossale bonaccia. Nove mesi riassunti e spazzati via in un improvviso nulla di fatto di eventi per niente sensazionali.
Il feto ha smesso di esistere senza drammi e il neonato ha modi sconosciuti di trascurare quanto non è più. Il pianto è l’unica brevissima concessione allo spettacolo.
L’affetto di un inizio, l’affetto dell’uomo alla nascita è il fulcro eccentrico dell’esistenza che non può cogliersi coi sensi fisici.
Intorno alla nascita il discorso scientifico assume imbarazzanti toni letterari.