il corno di cervo
Scommetto sulle pietre ruvide della grotta. Scommetto sui corpi.
È freddo l’angolo lontano dal fuoco. Là si va a morire di dolore. Perché qua si sa che si può morire di dolore. Non c’è stupore. Per chi vive tra le pietre -fredde o roventi secondo la distanza dal fuoco centrale- il dolore non è una vergogna. Si dice: muore lontano dal fuoco. Vuol dire morire per mancanza di calore.
Lo chiamano anche morire per il corno di cervo. Perché trafigge il torace. È il dolore nel torace. Preciso come un’arma.
Non sempre si muore. A volte si attenua. Il corno si ritrae. Il corpo sanguina e vince. Qua dicono: il corpo paga. Ma non si sa mai prima se si vivrà. Si va a morire per la perdita di calore. Per questa corrispondenza si va nell’angolo umido.
Poi, a volte, il dolore si ritrae. Come un coltello tirato via. Dalla ferita entra un soffio di fuoco. Qualcuno solo allora porta un po’ di brace. La brace viene portata per dire che chi doveva morire ha ritrovato la vita.
Nessuna festa. Si vive e si muore per niente. Non c’è tempo. Però l’angolo buio della grotta, se si accende di brace, vuol dire che qualcuno ce l’ha fatta. È tornato.