dedizione?

1 Aprile 2023 Lascia il tuo commento

Il bar della stazione non chiude mai. Ha la carica degli orologi. Le ore più belle per venire a sedercisi con il pretesto di un caffè sono quelle a ridosso dell’alba quando si aspetta fiduciosi la luce che verrà. Una parete a specchio fa il film di quanto accade.

 

Nell’udire l’adagio del Concerto per pianoforte n.23 in La maggiore K488 di Mozart un passero esce fuori dalla mia mente sbanda curvando fulmineo per evitare le pareti e sparge per l’aria trilli frenetici che si coagulano in frecce sottili e si infiggono sulle nuvole di calore che esalano dalle stoffe di lana e cotone di giacche leggere e teneri pullover coi quali io e la cameriera del caffè avvicinandoci un po’ sconvenientemente abbiamo fatto un nido sospeso a un metro e mezzo dal pavimento di travertino dell’area viaggiatori della sala.

 

Al tempo che io ho avuto questa sensazione lei pronunciava la parola ‘nutrimenti’ e subito mi era nata l’idea che, tenendo conto della rapidità con cui si genera in mente una rappresentazione, la parola che volesse esprimerne interamente il senso non sarà sempre altro che l’espressione di una aspirazione.

 

Per questo mi ero tenuto questa digressione come circumnavigazione di un promontorio lungo una ben più lunga traversata, e avevo taciuto di raccontare i rilievi della punta di terra che costeggiavo ed ero rimasto, intanto che provvedevo ai comandi velieri appropriati, ad ascoltare lei come a seguire di già la descrizione del continente da raggiungere in fine.

 

I resti di schiuma al fondo concavo della tazza di ceramica chiara si erano nel frattempo composti in una coperta di ovatta dove si potè assopire improvvisamente il rumoroso volo del passero rimasto imprigionato sopra le nostre teste.

 

Dalla mia postazione attuale ancora riesco a ricordare brevi distrazioni quando per esempio alle spalle di lei osservavo con curiosità la testa esagonale dei bulloni di fissaggio alle traversine oltre il marciapiede della ferrovia che correva (e credo corra ancor oggi) parallela alle vetrate del caffè.

 

Sento chiaramente che mentre perseguo questi aspetti marginali delle cose esterne mi inoltro sempre più profondamente nelle regioni di confine tra me e le cose.

 

Allora quelle regioni si dilatano riempiendosi di vuoto e il vuoto lo chiamo aria perché è imponente la sua speciale trasparenza e devo conferirle ad ogni costo un volume etimologico che ne stabilizzi, contrastandola, l’apparente aleatorietà.

 

Poi riprendo pazientemente a insistere su ogni sensazione e dilato il tempo e tiro lo spazio che a sua volta stira la trama di ogni cosa che di spazio è composta e allora il diaframma si dilata e cresce così ampliando la profondità e accorciando la frequenza del respiro.

 

L’osservazione minuziosa delle cose dunque mi causa una reazione vagale che pare in grado di curarmi l’ipertensione per via del rallentamento dei battiti dell’ipotensione a corredo della sindrome.

 

Segue una lieve accelerazione dei pensieri che fruttano rappresentazioni di imperdonabili leggerezze che potrei consentirmi prima che sia tardi.

 

A conclusione della clinica in atto non mancano di esibirsi sudorazione diffusa e pallore che mi conferiscono un tono protoromantico e una quiete quasi lipotimica.

 

Tutto questo è ‘a causa’ della novità/schock a proposito della fenomenologia degli eventi di contatto tra il me e il mondo.

 

Il tempo rallenta lo spazio si dilata. Io posso inoltrarmi nella struttura interna degli oggetti fino alla visione della composizione corpuscolare del tempo medesimo.

 

È cosi che mi propongo di affermare che il movimento arruffato delle ali del passero si sfarina in una tempesta molecolare non dissimile, nella struttura delle relazioni intime della materia, al marasma atomico che perpetua l’attività delle centrali nucleari di una stella.

 

Là sei arrivata. Nel mezzo del percorso di comprensione delle segrete somiglianze tra la natura transitoria della vita di un corpo tiepido volante e terrorizzato, e la fredda coerenza con la quale l’universo si scompone coerentemente con fenomeni termici fedeli ad inderogabili impegni di obbedienza alle formule.


Sei arrivata nello spazio tra l’ineluttabile e la tradizione. Non sei andata più via. È un fenomeno nuovo per me e anomalo che mi tiene legato all’
amo di un interrogativo.

 

Dirante l’attenzione paziente di noi due la struttura del legame amoroso che mi tiene a te si è rivelata un amo rovesciato in un’uncino che si è conficcato sotto la pelle che sanguina e stride.

 

È in quel punto che fai forza, là mi tieni che non posso fuggire. Io chiamo dedizione quell’incapacità.


da veleno a medicina
sfidarti

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