c’era una volta

30 Settembre 2010 Lascia il tuo commento

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noterai quanti siamo tutti scarsamente capaci di trasformare l’interno

che è quel che via via siamo, sempre ogni volta diverso,

nel linguaggio nelle parole nei toni di un discorso

giudizioso e preciso o accalorato e partecipato

gli equivoci raccontano una storia diversa

e in fondo il linguaggio tiene in sé

sempre

un’altra storia inesprimibile nonostante ogni tentativo

l’arte la musica la danza il teatro il cinema

dicono che la serie di immagini figure espressioni

si susseguono da sempre senza arrivare mai ad un punto conclusivo

questo accade

penso da qualche tempo

per il fatto che il pensiero umano trasforma il ‘finito’ e ‘discreto’ della percezione delle cose reali esterne

in immagini

che essendo realtà non materiale

non hanno più la finitezza d’essere  ‘oggetti’ – consolatoriamente – discreti

cosicché pensando alle cose di dentro di chi amiamo

e alla loro relazione con le nostre cose di dentro

abbiamo comunque sempre a che fare con una non-numerabilità e una non-oggettivabilità

e così scopriamo via via nelle notti di fronte al fuoco dei sogni

che forse niente del tutto potrà mai garantirci l’ amore insieme al giudizio

e la conoscenza insieme alla lucida chiarezza.

Forse accetterai la sfida d’amore posta nello sguardo altrui

e diventerai brava a descrivere l’odore del caffè

o il taglio obliquo del maestrale di tre giorni fa

o l’incidenza della luce sulle guance di tua figlia quella sera al crepuscolo

dopo l’ultimo bagno dell’estate…

Allora forse la voglia di parlare non ti assillerà più

e solo di fronte a domande che sanno di caffè

o arrivano di traverso come il maestrale

soltanto quando un cambio di toni e motivi delle parole ricreerà il crepuscolo dell’ultimo giorno d’estate

soltanto allora capirai

che è vero quello che un importantissimo filosofo

mise all’inizio della prefazione di un suo libro frammentato e difficile

“…forse soltanto chi ha già pensato le cose che ho scritto capirà questo libro…”

noi possiamo parlare davvero senza equivoci

soltanto a chi ha già pensato i nostri pensieri

ed essere puntuali davvero

soltanto nel momento in cui ci accoccoliamo tra le braccia della altrui ‘attesa’

che durava dall’inizio e non s’era mai ‘tradita’

non creare equivoci e non tradire le attese

e parlare infine senza incespicare

senza avvertire l’altro come ostacolo della comprensione

parlare all’altro (altra)

con la calma di chi sa che in verità non c’è niente da dire

perché tutto é già stato capito

e l’essere là é silenziosa certezza di una presenza intelligente

Ultima scintilla:

la ragazza disse

“….dimmi che pensi di me….”

le risposi

“penso che quando mi guardi il tuo sguardo si riposa…”

forse avevo detto troppo e non ricordo perché finì….

Ora resta un pensiero diverso

e mi sembra che la natura dell’equivoco possa ridursi a questo:

che noi pretendiamo che parlare all’altro debba restituircelo

mentre invece forse

dovremmo saper ‘volere’ che l’ascoltarci

dell’altro

lo riposi!


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l’opera viva e il profilo dell’acqua
un usignolo disobbediente e l’amore al condizionale

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