c’era una volta

noterai quanti siamo tutti scarsamente capaci di trasformare l’interno
che è quel che via via siamo, sempre ogni volta diverso,
nel linguaggio nelle parole nei toni di un discorso
giudizioso e preciso o accalorato e partecipato
gli equivoci raccontano una storia diversa
e in fondo il linguaggio tiene in sé
sempre
un’altra storia inesprimibile nonostante ogni tentativo
l’arte la musica la danza il teatro il cinema
dicono che la serie di immagini figure espressioni
si susseguono da sempre senza arrivare mai ad un punto conclusivo
questo accade
penso da qualche tempo
per il fatto che il pensiero umano trasforma il ‘finito’ e ‘discreto’ della percezione delle cose reali esterne
in immagini
che essendo realtà non materiale
non hanno più la finitezza d’essere ‘oggetti’ – consolatoriamente – discreti
cosicché pensando alle cose di dentro di chi amiamo
e alla loro relazione con le nostre cose di dentro
abbiamo comunque sempre a che fare con una non-numerabilità e una non-oggettivabilità
e così scopriamo via via nelle notti di fronte al fuoco dei sogni
che forse niente del tutto potrà mai garantirci l’ amore insieme al giudizio
e la conoscenza insieme alla lucida chiarezza.
Forse accetterai la sfida d’amore posta nello sguardo altrui
e diventerai brava a descrivere l’odore del caffè
o il taglio obliquo del maestrale di tre giorni fa
o l’incidenza della luce sulle guance di tua figlia quella sera al crepuscolo
dopo l’ultimo bagno dell’estate…
Allora forse la voglia di parlare non ti assillerà più
e solo di fronte a domande che sanno di caffè
o arrivano di traverso come il maestrale
soltanto quando un cambio di toni e motivi delle parole ricreerà il crepuscolo dell’ultimo giorno d’estate
soltanto allora capirai
che è vero quello che un importantissimo filosofo
mise all’inizio della prefazione di un suo libro frammentato e difficile
“…forse soltanto chi ha già pensato le cose che ho scritto capirà questo libro…”
noi possiamo parlare davvero senza equivoci
soltanto a chi ha già pensato i nostri pensieri
ed essere puntuali davvero
soltanto nel momento in cui ci accoccoliamo tra le braccia della altrui ‘attesa’
che durava dall’inizio e non s’era mai ‘tradita’
non creare equivoci e non tradire le attese
e parlare infine senza incespicare
senza avvertire l’altro come ostacolo della comprensione
parlare all’altro (altra)
con la calma di chi sa che in verità non c’è niente da dire
perché tutto é già stato capito
e l’essere là é silenziosa certezza di una presenza intelligente
Ultima scintilla:
la ragazza disse
“….dimmi che pensi di me….”
le risposi
“penso che quando mi guardi il tuo sguardo si riposa…”
forse avevo detto troppo e non ricordo perché finì….
Ora resta un pensiero diverso
e mi sembra che la natura dell’equivoco possa ridursi a questo:
che noi pretendiamo che parlare all’altro debba restituircelo
mentre invece forse
dovremmo saper ‘volere’ che l’ascoltarci
dell’altro
lo riposi!